Pietro Solimeno: passione e successi letterari
Con questo articolo iniziamo un nuovo viaggio insieme alla ricerca di quelle persone che in Maremma sono nate, vivono o hanno vissuto; viaggeremo fra le loro passioni, le loro esperienze e le loro abilità. Per via telematica abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Pietro Solimeno, scrittore ed amico ed oggi, con piacere, vi presenteremo quello che ci ha raccontato di sé.
Federico - Conosco Pietro da quando ero ragazzino e ricordo fosse abile con le parole a spiegare con semplicità quelli che nei primi anni 90 erano i misteri iniziatici dell'informatica. Ti conosco da sempre come informatico, appunto, non come scrittore! Non ti vedo né come Dottor Jeckyll né come Mr Hyde, ma chi sei realmente?
Pietro - Mi definirei un condensato di ambedue le personalità: "Dottor Jeckyll e Mr Hyde". In realtà Pietro Solimeno è semplicemente una persona che si diletta a scrivere rubando tempo al lavoro. Qualcuno afferma che uno scrittore si ritrova nei suoi personaggi, s'immedesima in loro. Verissimo, io sono tutti i personaggi che fanno parte dei miei romanzi, siano essi uomini, donne o bambini.
Quando creo un personaggio, la prima cosa che faccio è renderlo diverso dagli altri, dargli una personalità che lo distingua anche nel modo di esprimersi. Qualcuno mi ha definito spregiudicato. Non sono uno "spregiudicato". Al di sopra delle righe, come la mia editor afferma, forse... lo lascio giudicare agli altri. Diciamo che i miei personaggi sono privi d'inibizioni, liberi dai pregiudizi con cui abbiamo a che fare ogni giorno, essendo spesso condizionati dall'educazione, dalle religioni e... da chi pretende di guidarci sulla retta via. Non è facile rispondere a una domanda di questo tipo, forse perché risposta non c'è.
Come disse François Mauriac, "uno scrittore è essenzialmente un uomo che non si rassegna alla solitudine".
Federico - La tua è stata definita da alcuni la fantasia di un Salgari di altri tempi. Lui scriveva documentandosi in biblioteca e a quanto pare le ristrettezze economiche mai lo avevano portato alle terre di cui narrava. Tu credo possa dire di passartela meglio ma, in modo simile, sembri avere una fervida fantasia e, credo, molta empatia nel descrivere i sentimenti dei tuoi personaggi. Come fai? C'è qualcosa che lega in modo evidente la tua mente analitica a quest'animo sognante? Ma, soprattutto: quanto c'è di te fra le righe?
Pietro - Un amico mi ha definito: "Un viaggiatore stanziale". Salgari aveva molta più fantasia di me, anche perché Internet non esisteva e, quindi, la fantasia oltre la documentazione aveva un ruolo veramente importante. Certo, di fantasia ne ho molta, come credo tutti quelli che scrivono romanzi. Senza, la sindrome della pagina bianca avrebbe il sopravvento, ma paragonarmi a Salgari, è veramente troppo! Nel mio studio, oltre al mio computer perennemente collegato in Internet, ho vari testi da cui attingo informazioni, altrimenti sarebbe quasi impossibile sviluppare una trama credibile e veritiera. Quando pubblicai il mio primo romanzo, ebbi un colloquio con il mio editore, il quale credeva fossi un medico, vista la trattazione dettagliata di alcuni argomenti del romanzo "Lisa". Rimase perplesso quando dissi semplicemente: "No, non sono un medico, sono un infermiere mancato".
Tra le righe si trova tutto quello che uno scrittore sente di essere, emozioni da comunicare agli altri, sogni irrealizzati, speranze. Per quanto riguarda la mente analitica, benché svolga un lavoro così "tecnico", mai pensato di averla. Se fossi così analitico come si pensa, probabilmente scriverei solo testi tecnici, e non storie inventate.
Federico - Torniamo un secondo a Salgari: fumava come un turco, beveva marsala e forse la spinta dell'etanolo qualche aiutino nel "viaggio" glielo ha dato. Tu che segreti hai?
Pietro - Bella domanda. Non sono astemio, questo è sicuro: amo il buon vino e il buon whisky (un Lagavulin ogni tanto bagna il mio bicchiere), ma non esagero nel bere, altrimenti chissà cosa potrebbe uscire dalla penna (tastiera). Per quanto riguarda il "Turco", in realtà ho una lontana discendenza con il popolo turco, visto il cognome... Il marsala lo preferisco nello zabaione! Nessun segreto, solo piacere nello scrivere.
Federico - Fammi essere campanilista per qualche minuto: l'Argentario e la Maremma ti aiutano per l'ispirazione?
Pietro - Direi che sono la base portante di tutto quello che scrivo, anche se gli ambienti dei miei romanzi, molto spesso, non sono né l'Argentario né la Maremma. Chi ha letto "Lisa", forse ha riconosciuto la sua casa, sospesa a picco tra la scogliera e il mare. Un posto meraviglioso dell'Argentario dove, quando posso, mi reco per immergermi in quelle acque meravigliose.
Federico - Dal 2005 a oggi hai scritto molto e avrai bruciato sicuramente più di una tastiera ma qual è il tasto che non vorresti mai (o mai più) toccare nei tuoi romanzi? Qual'è stata la tua peggior fatica, difficoltà o sofferenza?
Pietro - Potrei semplicemente dire "CANC" ma, in realtà, alla fine di un romanzo, quel tasto può risultare molto utile per migliorare quello che hai scritto o, magari, per nascondere qualcosa di me.
La fatica più grande è stata scrivere "La Rivelazione", una fatica mentale che porto come ricordo. Molti personaggi che s'incontrano in momenti diversi, una trama molto complessa, un tema che coinvolge religione e antiche confraternite, un mix che comprende anche il paranormale.
Federico - Donne: Lisa, Karen, Aline, Isabella... nomi e personaggi intensi e spesso anche copertine al femminile. Qual è il fil rouge di tutto questo?
Pietro - Ho capito, con mia moglie ci parli tu!
A parte le battute, trovo stimolante quanto prolifico il personaggio donna. All’inizio, il titolo che do al romanzo che inizio a scrivere, ha sempre un nome di donna. Alla fine del romanzo, però, iniziano a sorgere i dubbi. "Un titolo più indicativo può far capire, almeno in parte, il contenuto del romanzo, mentre un nome di donna... può lasciare troppo mistero". Ed ecco che Kristy è diventato "Vite violate", Nyla "Altra metà della vita", e così via.
Federico - Premi, applausi, riconoscimenti. Bello essere famosi! Quanto ti spingono a continuare a sfornare altre opere e a migliorare di volta in volta?
Pietro - A essere sinceri, non molto. Ricevere riconoscimenti come attestati, coppe, targhe e chi più ne ha più ne metta (lo so, è una frase fatta), non spinge certo a scrivere ancora e meglio. Forse un aiutino morale si riceve da tutto questo, d'accordo, ma scrivere vuol dire altro, specialmente per chi non vive dei propri romanzi. È una sensazione particolare quella di creare personaggi cui dare vita: entrano in te. Sono come amici che riprendono a esistere quando apri il file del romanzo. Ti seguono anche quando il file è chiuso, ma in modo diverso. Ci parli, li fai parlare, li fai litigare, li fai gioire e piangere. Ti senti un po' "creatore", dai un soffio di vita a personaggi che esistono solo nella fantasia, e quando vai a letto, prima di addormentarti ti poni mille domande su come gestirai le vite e le emozioni che hai creato... ti senti responsabile.
Un'amica, arrabbiatissima, un giorno mi ha detto: "Non dovevi far morire Giorgio, ci sono rimasta male!".
Diciamo che è stata una soddisfazione. Non nel senso dell'aver fatto arrabbiare quest'amica, chiaramente, ma sapere di aver creato un personaggio che ha lasciato un segno.
Per quanto riguarda la fama, spesso è imbarazzante: incontri persone che ti chiedono un autografo, altri che invece ti evitano perché hai trattato un argomento talmente delicato da aver colpito la loro sensibilità (chiaramente non condividono il mio pensiero).
Nel 2006 mi recai vicino a Milano per ritirare un riconoscimento. Con il romanzo "Lisa" riuscii ad aggiudicarmi il primo premio superando scrittori molto più famosi di me. Quando vidi la graduatoria, rimasi perplesso, i partecipanti erano più di mille. Si sono sbagliati, pensai. Mentre stavo cercando la sala dove si sarebbe svolta la premiazione, notai una ragazza con dei libri tra le mani, tra i quali il mio. Mi avvicinai a lei per avere informazioni su dove si trovasse la sala dove avrei dovuto ricevere il premio. Mi chiese di seguirla, si stava recando anche lei alla premiazione. Il mio primo dialogo con un’ammiratrice:
«Va ad assistere alla premiazione?»
«Sì» risposi.
«Ha qualche amico o parente tra i premiati?»
«Vado a ritirare il mio premio».
Appena finita la frase, si fermò e disse: «Lei è Pietro Solimeno!»
Mia moglie, in seguito, disse che ero arrossito. Era una della commissione esaminatrice, la quale mi confermò che ero stato votato all'unanimità. Certo, è una soddisfazione, ma restiamo con i piedi per terra.
Federico - Domanda da informatico: carta stampata o libro elettronico?
Pietro - Carta stampata, senza dubbio. È chiaro che leggere costa, e per risparmiare si può ricorrere al formato elettronico. Ci ho provato, lo ammetto, ma quando mi avvicino alla mia biblioteca e prendo in mano un libro, magari scritto moltissimi anni fa, annusarlo è come tornare indietro nel tempo, viaggiare con lui. Sono sensazioni da provare.
Federico - Cosa consigli a chi pensa di avere talento e vuole iniziare a scrivere seriamente?
Pietro - Certamente di scrivere sempre e tanto. Maturare nello scrivere è frutto dell'esercizio, ma con una premessa: dimenticavi di vivere con la scrittura, a meno che in voi non ci sia un nuovo fenomeno della letteratura. Oppure, andate a fare la velina, o il calciatore, o il comico e dopo, cimentatevi con la scrittura. In questo caso, venderete di sicuro.
Federico - Prima di salutarti ti faccio un'ultima domanda, una di quelle davvero di rito: che cosa bolle in pentola? Cosa ti aspetti dal futuro?
Pietro - Ho pronto il mio ultimo romanzo, già presentato alla casa editrice, di cui ti anticipo il titolo: "Il soffio dell'Angelo", che uscirà alla fine dell'anno. Come avrai capito, ogni mio romanzo affronta un tema diverso, e questa volta si parla di genetica. Un'indiscrezione, per te e per chi leggerà queste righe: metterò le mani sul primo computer quantico… nel romanzo, chiaramente.
Dal futuro non mi aspetto nulla, lascio che diventi il presente, e basta.
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